Omelia Messa Crismale 2021

Messa Crismale
01-04-2021

Gli occhi di tutti erano fissi su di lui” (Lc 4,20).

Mai come in questo tempo particolare della storia avvertiamo tutti il bisogno di avere gli occhi fissi su di Lui, Gesù, il testimone fedele (Ap 1,5), Colui che è sorgente viva di speranza, Colui che ci ha amato sino alla fine (cf Gv 13,1). Con i presenti nella sinagoga di Nazaret anche noi ci lasciamo afferrare dal fascino del giovane rabbì che quel sabato prese la parola dopo aver aperto il rotolo del profeta Isaia. Come le folle che sarebbero poi accorse da ogni luogo per incontrarlo e ascoltare la sua parola, come i primi discepoli, chiamati a seguirlo, come Zaccheo, come Levi, anche noi cerchiamo di incrociare i suoi occhi per lasciarci accarezzare dal suo sguardo fatto di tenerezza e di fiducia. Abbiamo bisogno, oggi più che mai, di sentire da Lui le parole della rinascita: “coraggio, non temete, io sono con voi… io sono con te!”. Sentiamo rivolte a ciascuno di noi queste parole, nessuno escluso. Ne abbiamo bisogno noi presbiteri, diaconi e consacrati, che molte volte ci sentiamo schiacciati o dalla frenesia delle tante cose da fare o, come in questo periodo, dalla frustrazione che nasce dal non essere in un continuo correre, sperimentando spesso la solitudine e il senso di inutilità; ne avete bisogno voi fedeli laici, che dovete affrontare le incognite legate alla gestione del quotidiano in famiglia o al lavoro e molte volte vi sentite impari rispetto alle attese di chi vi è vicino.

Carissimi fratelli e sorelle, in questa celebrazione della Messa del Crisma, tanto attesa dopo la sospensione dello scorso anno, noi tutti pellegrini lungo i sentieri della storia desideriamo rinnovare la nostra adesione incondizionata al Signore Gesù, consapevoli che senza di Lui siamo poveri e, soprattutto, non possiamo fare nulla (cf Gv 15,5). Abbiamo bisogno che l’Unto del Signore venga a portarci il lieto annuncio della liberazione da ogni paura, venga a ridare la luce agli occhi, offuscati dai tanti drammi vissuti e appesantiti per le tante lacrime versate, mentre ancora barcolliamo nel buio dell’incertezza e delle preoccupazioni. Lui, il nostro Signore e Maestro, viene oggi a stare qui con noi per riscaldare il nostro cuore con la Sua Parola e per toccare e guarire le ferite con il balsamo della Sua misericordia.

La celebrazione odierna, pur limitata nella partecipazione dei fedeli, è epifania della nostra Chiesa particolare, e proprio perché è l’espressione più ampia e rappresentativa del popolo di Dio della diocesi, manifesta ancora di più la presenza in mezzo a noi del Signore Risorto. Permettete allora che mi rivolga con affetto di padre e di fratello a voi tutti, carissimi, per trasmettervi il saluto pasquale per eccellenza: “Pace a voi!”. Pace a voi, qui presenti nella nostra Basilica Cattedrale: a voi cari fratelli Presbiteri e Diaconi, a voi Religiosi e Religiose, a voi fratelli e sorelle laici, tutti partecipi dell’unico sacerdozio di Cristo. Pace a voi, cari amici, che ci seguite attraverso la diretta televisiva o il collegamento facebook; a voi che avete dovuto rinunciare con dispiacere alla partecipazione in presenza per i motivi che conosciamo; a voi che per la positività al Covid siete costretti a rimanere chiusi in casa; a voi toccati dal virus in maniera drammatica e violenta e proprio per questo avete dovuto trascorrere, o trascorrete ancora, lunghi periodi in ospedale o in centri di riabilitazione; a voi che avete ancora il cuore lacerato dal dolore per la morte di una persona cara, spesso dopo una lancinante agonia; a voi che state sperimentando la precarietà della vita quotidiana per le conseguenze della pandemia a livello sociale. A tutti dico, facendomi eco del Risorto: “Pace a Voi!”. Avvertiamo la consolante presenza di Gesù e fissiamo su di Lui il nostro sguardo, non solo quando le forze vengono meno, ma in ogni istante, soprattutto quando ci sentiamo forti nelle nostre sicurezze e pensiamo che la buona riuscita di tutto ciò che facciamo dipenda da noi e dalle nostre capacità.

La pagina del profeta Isaia, ascoltata nella prima lettura e che Gesù legge e commenta a Nazaret, ci dice con chiarezza che il Servo del Signore, su cui si posa lo Spirito di Dio, è Colui che viene mandato per far rinascere la speranza, “per consolare tutti gli afflitti, per dare agli afflitti di Sion una corona invece della cenere, olio di letizia invece dell’abito da lutto, veste di lode invece di un cuore mesto” (Is 61,2-3). Quell’“oggi si è compiuta questa Scrittura” che Gesù proclama a Nazaret rivela il compimento delle antiche profezie nella Sua persona. Da quel giorno il Figlio di Dio inizia la Sua missione facendosi pellegrino lungo le strade della Palestina: “Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito e la sua fama si diffuse in tutta la regione. Insegnava nelle loro sinagoghe e gli rendevano lode”, dichiara l’evangelista Luca introducendo l’episodio di Nazaret (Lc 4,14-15). Da quel giorno lontano, instancabilmente, il Signore Gesù attraversa i secoli e le generazioni e va incontro ad ogni uomo e ad ogni donna per lasciare ovunque il segno della sua presenza, per rialzare e consolare, per accarezzare, curare e guarire tutte le ferite che gli vengono presentate da chi ha avuto la vita stravolta dalla prova.

Vorrei, carissimi, che pensassimo a questa visita continua del Signore in mezzo a noi. Lui, dal giorno della Risurrezione si fa compagno invisibile di ogni discepolo, che potrà riconoscerlo accanto a sé solo se si lascia guidare dalla fede. Quanto ci è necessario questo sguardo di fede! Senza questo sguardo facciamo fatica a scorgere i segni della Sua presenza e le stesse azioni liturgiche, che sono la riattualizzazioni della salvezza, rischiano di essere insignificanti e prima o poi diventano riti vuoti che sfiorano appena il cuore e cadono in una monotonia stancante. Coltiviamo allora questo dono, alimentiamo la nostra fede stando a tu per tu con il Maestro, frequentandolo assiduamente, nulla anteponendo all’incontro con Lui.

Non c’è dubbio che oggi vi sia un deficit di fede nell’esperienza dei cristiani, per cui si fa fatica a dare il giusto primato a Dio, e questo a tutti i livelli. Riassaporiamo la bellezza di una fede semplice ma ben radicata nel tessuto quotidiano, una fede che ci fa sentire costantemente custoditi dall’amore premuroso del Signore. È questa la roccia su cui edificare la vita. Non vi è altra sicurezza, perché tutto passa: solo la certezza della Sua presenza e del Suo amore rimane. Qualche tempo fa è stato pubblicato un interessante studio del prof. Franco Garelli sul sentimento religioso nell’Italia incerta di Dio (come recita il sottotitolo). Gente di poca fede, questo il titolo e questo è quanto emerge dalla ricerca. In un contesto multiculturale e multireligioso quale è quello italiano, all’avanzare di nuove forme di religiosità “fai da te” corrisponde un evidente affievolimento della fede cristiana. Ci si proclama credenti, ma ognuno si crea un Dio a propria immagine e somiglianza, lontano dal volto del Dio rivelatosi in Gesù. Un Dio che va bene “per tutte le minestre”! Un Dio che soprattutto può fare a meno di Gesù e del Suo Vangelo.

Perché non possiamo non dirci cristiani: è la celebre frase di Benedetto Croce, in riferimento alla identità culturale del nostro Paese. È vero, la nostra storia, la nostra cultura, le nostre tradizioni hanno le loro radici nel cristianesimo, ma quanto davvero il Vangelo plasma la vita credente? Si tratta in molti casi di un’adesione più sociologica che effettiva all’esperienza cristiana; soprattutto si dimentica che la fede ha una sua dimensione oggettiva che va condivisa in quella comunità di credenti che è la Chiesa. Quanti di quelli che si dicono credenti vivono la piena appartenenza alla comunità ecclesiale? Quanti si dicono cristiani e si affacciano solo saltuariamente alla vita comunitaria, per chiedere magari i Sacramenti, più per prassi che per convinzione? Per quanti Gesù è semplicemente uno dei grandi della storia ma non il Figlio di Dio fatto uomo? Rimane ancora attuale quanto ebbe a dire una volta il Card. Martini per descrivere le diverse tipologie di cristiani. Vi sono, affermava, i “cristiani della linfa, e poi quelli del tronco, della corteccia e infine coloro che come muschio stanno attaccati solo esteriormente all’albero”. Una metafora quanto mai eloquente, per descrivere la situazione di ieri come di oggi, e mentre ci inquieta interiormente, nello stesso tempo ci stimola ad individuare e intraprendere strade nuove per rievangelizzare il tessuto sociale delle nostre Città, per rifondare la nostra fede, per ritornare alla sorgente pura della vita cristiana che è Gesù, il Figlio di Dio divenuto nostro fratello.

È per questa ragione che oggi, nella sosta orante che ci vede radunati nella nostra cattedrale, profumata dall’olio della letizia, avendo gli occhi fissi su Gesù, chiedo a te, amata Chiesa di Conversano-Monopoli, di riappropriarti della fede che ti ha guidato nel cammino dei secoli. Riassapora l’emozione di una fede viva che, ricevuta in eredità dalle passate generazioni, viene trasmessa alle nuove perché sia linfa che mantiene in vita l’albero plurisecolare della Chiesa di Cristo. È finito il tempo in cui ci si accosta al Maestro più per consuetudine sociale che per convinzione personale. Risvegliamo l’entusiasmo dell’adesione sincera a Colui che “conosce quello che c’è nell’uomo”, come annota l’evangelista Giovanni (2,25), conoscenza che non può non aprirci ad una fiducia sconfinata.

Quante volte ci capita di sognare ad occhi aperti il tempo che verrà, quando passata la bufera della pandemia, riprenderemo i ritmi ordinari della vita. Ci siamo detti più volte che nulla potrà essere come prima. È vero. Ma mi chiedo, e vi chiedo: cosa significa questo, che rischia di essere solo uno dei tanti slogan coniati per darci una spinta in un momento difficile? Io mi permetto di dare una risposta che possa stimolare nostra responsabilità di credenti. Nulla sarà come prima se ritorneremo con fede viva a Cristo Signore, se scopriremo che davvero Lui è con noi, se ci lasceremo guidare dal Suo Spirito, donato in abbondanza a tutti quelli che credono in Lui. Solo un sussulto di fede può darci una spinta per ripartire. All’inizio del nuovo millennio San Giovanni Paolo II ci chiese di prendere il largo nel mare della storia e di ripartire da Cristo (cf Novo millennio ineunte), se volevamo ridare slancio al servizio di evangelizzazione a cui la Chiesa è chiamata. Oggi faccio mio questo invito del Santo Pontefice e dico a me e a voi: ripartiamo da Cristo nel tempo del post-pandemia. Portiamo a tutti l’Evangelii gaudium; a tutti diciamo: Gaudete et exultate perché Christus vivit; facciamo sbocciare l’Amoris laetitia, ovunque, ma soprattutto nelle famiglie. Come certamente avete notato sono i titoli delle Esortazioni Apostoliche del Santo Padre Francesco. Sono esse le coordinate su cui vogliamo costruire il nostro futuro!

Cari fratelli presbiteri e diaconi, ripartiamo noi per primi da Cristo ripensando al nostro primo incontro con Lui, quell’incontro che ha fatto scoccare la scintilla dell’innamoramento, che ci ha portato a lasciare tutto per Lui. Ridiciamo il nostro sì convinto e generoso nel seguirlo e mettiamoci nelle mani della Chiesa, amandola perché è la Sposa di Cristo e fidandoci di quanto ella ci chiede nel vivere il nostro ministero. Ripartite da Cristo soprattutto voi, cari fratelli presbiteri che in questo anno celebrate i vostri giubilei sacerdotali: tu carissimo don Peppino De Filippis, che celebri i 70 anni di Sacerdozio; tu carissimo don Nicola Montone, che celebri i 60 anni di Sacerdozio; voi carissimi don Pierino Antonelli, don Peppino Cito e don Peppino Mineccia, che celebrate i 50 anni di Sacerdozio; tu, carissimo don Salvatore Montaruli, che celebri il 25 di Sacerdozio: mantenete sempre giovane il vostro Sacerdozio, nonostante lo scorrere inesorabile degli anni! E voi e noi, ad imitazione di San Giuseppe, amiamo il popolo santo di Dio con cuore di padre! A Cristo siete ora giunti voi, carissimi don Pasquale Tinelli, P. Giovanni Lunardi e P. Vincenzo Romani, della comunità monastica di Noci: nel Suo abbraccio eterno vivete il vostro sacerdozio, che si fa intercessione per il nostro presbiterio e per l’intera Diocesi. Alla vostra preghiera affido in particolare il carissimo don Giuseppe Cantoro, che nei prossimi mesi sarà ordinato sacerdote, e i seminaristi, sia del minore che del maggiore, speranza della nostra Chiesa.

Cari consacrati e consacrate, ripartite da Cristo inebriandovi del Suo amore fedele. Testimoniate con la radicalità delle scelte di vita che Lui è tutto per voi e dite a tutti noi che nulla dobbiamo anteporre all’amore di Cristo.

Cari fedeli laici, ripartite da Cristo offrendo a Lui ogni giorno, nelle occupazioni che contraddistinguono la vostra vita, i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio (cf Rom 12,1). Sì, è questo il vostro culto spirituale! Santificate il mondo vivendo nel mondo, ma da ospiti e pellegrini, sempre memori della parola di Gesù che ricorda ai discepoli che non sono del mondo (cf Gv 17,14).

Carissimi, a tutti dico, con la forza della mia fede e del mio amore a Cristo: “Respicite ad Dominum et illuminamini”! Sì, guardate… guardiamo insieme al Signore e saremo raggianti! E con questa luce riprendiamo il nostro cammino, accompagnati dalla Stella luminosa che è Maria, Madre di Dio e nostra, e da San Giuseppe. Amen.

Cattedrale , Conversano